Diritto Amministrativo

Avvocato amministrativista: quali sono le sue attività principali e quando può essere utile

L’avvocato amministrativista è esperto nella materia del diritto amministrativo, con tale intendendosi il complesso delle disposizioni che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento della pubblica amministrazione ed i suoi rapporti con i privati.

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Di cosa si occupa l’avvocato amministrativista

L’avvocato amministrativista è il professionista legale che si occupa di risolvere le questioni giuridiche tra i propri clienti (che possono essere sia privati cittadini che altri enti pubblici) e la pubblica amministrazione, in ogni sua articolazione (ministeri, agenzie, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti, strutture amministrative di Regioni, Città Metropolitane, Comuni e degli altri enti locali).

L’attività professionale dell’avvocato amministrativista può essere svolta:

  • nella fase stragiudiziale, comprendendo l’attività di consulenza ed assistenza dei clienti nei procedimenti amministrativi di loro interesse;
  • nella fase giudiziale, mediante il patrocinio dei giudizi dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali ed il Consiglio di Stato.

L’avvocato amministrativista è inoltre un professionista tenuto ad un costante aggiornamento, in quanto il diritto amministrativo costituisce una materia molto vasta, che accoglie numerosi settori del diritto, e si inserisce pertanto in un panorama normativo in continuo cambiamento, sia normativo che giurisprudenziale.


Cosa si intende per diritto amministrativo

Il diritto amministrativo è una branca del diritto che si occupa di disciplinare le attività della pubblica amministrazione e dei rapporti tra essa e i privati.

Per il raggiungimento del pubblico interesse viene lasciata normalmente alla pubblica amministrazione la facoltà di scelta circa il come, il quando, il modo dell’attività da espletare (c.d. discrezionalità amministrativa) ed altresì apprezzamento sull’opportunità di adozione di uno o più atti specifici (si parla di merito amministrativo). In determinati casi, invece, l’attività è espletata entro rigidissimi e dettagliatissimi schemi previsti dalla legge e, a tal fine, si suole parlare di attività vincolata.

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Riguardando ogni settore in cui vi è esercizio di un pubblico potere, il diritto amministrativo abbraccia diverse e mutevoli realtà giuridiche, tra cui:

  • diritto degli enti locali;
  • diritto sanitario;
  • diritto del lavoro pubblico;
  • concorsi pubblici;
  • sanzioni amministrative;
  • legislazione antimafia;
  • diritto urbanistico e dell’edilizia;
  • appalti e contratti pubblici;
  • diritto dell’energia e dell’ambiente;
  • diritto della sicurezza;
  • diritto dei beni culturali.

Trattasi, come si vede, di particolari aree giuridiche in cui l’esercizio di pubblici poteri interessa le posizioni giuridiche di soggetti privati, destinatari dei provvedimenti amministrativi, di cui subiscono gli effetti (positivi o negativi).

La posizione giuridica che normalmente viene in rilievo nell’ambito del diritto amministrativo è l’interesse legittimo, cioè quella situazione giuridica che consente a chi ne è titolare di pretendere una determinata condotta dall’amministrazione.

Pertanto, qualora un privato (o un altro ente pubblico) ritenga che la pubblica amministrazione abbia agito in difformità dalla normativa che a questa attribuiva il potere pubblico, potrà vedere tutelata la propria posizione dinanzi la giustizia amministrativa, formata dai Tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato.

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Principio di legalità, cosa significa per l’avvocato amministrativista

Il principio di legalità non trova espressa previsione a livello costituzionale, nonostante costituisca il presupposto per numerose disposizioni.

La prima norma fondamentale è l’art. 97 della Costituzione, secondo cui “… 2. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. 3. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.

I concetti di “buon andamento” ed “imparzialità” vengono poi richiamati all’art. 1 della nota legge sul procedimento amministrativo, la legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario. …”.

Il perseguimento del pubblico interesse stabilito dalla legge costituisce il nucleo del “principio di legalità” ed implica che l’azione della pubblica amministrazione è caratterizzata dalla “tipicità” dei provvedimenti. In questo senso non è consentito attuare provvedimenti amministrativi che non siano previsti dalla legge o per fini diversi da quelli per i quali essi sono stati previsti.

In definitiva l’affermazione “la pubblica amministrazione è soggetta alla legge” significa:

  • che il potere pubblico ed il soggetto che può esercitarlo devono essere stabiliti dalla legge
  • sia che il contenuto del provvedimento deve corrispondere alla finalità ed al tipo previsti dalla stessa legge

In difetto, il provvedimento potrà essere annullato dal giudice amministrativo, il quale ravviserà i vizi tipici del provvedimento: violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere.


Qual è la differenza tra procedimento amministrativo e processo amministrativo

Per procedimento amministrativo si intende una serie di atti ed attività, tra loro logicamente e giuridicamente collegati, temporalmente susseguenti, finalizzati all’adozione di un provvedimento conclusivo.

Il procedimento è dunque il “percorso” compiuto dalla pubblica amministrazione che si conclude nell’adozione di un atto finale.

Il procedimento può iniziare d’ufficio ovvero su istanza di parte e, durante il “percorso”, può richiedere il compimento di atti ed attività “istruttorie”, a carico normalmente del responsabile del procedimento, che consentono all’organo che dovrà adottare l’atto conclusivo, normalmente il dirigente, di valutare la soluzione ritenuta più idonea per garantire, da un lato, il pubblico interesse e, dall’altro, l’interesse del privato.

Il procedimento è soggetto ad un termine finale, generalmente di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, salvo specifiche deroghe. Entro questo termine la pubblica amministrazione è obbligata ad emanare un provvedimento espresso, salvo i casi di silenzio-assenso o dissenso (cioè dove la mancata adozione del provvedimento equivale, rispettivamente, ad accoglimento o rigetto).

Il processo amministrativo è invece il procedimento giurisdizionale che si svolge dinanzi agli organi della giustizia amministrativa, i Tribunali amministrativi regionali in primo grado ed il Consiglio di Stato (in Sicilia invece vi è il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana) in secondo grado.

Le parti del processo amministrativo sono:

  • il ricorrente, cioè il soggetto che si ritiene leso dall’azione della pubblica amministrazione;
  • la parte resistente, normalmente coincidente con la pubblica amministrazione di cui il ricorrente lamenta l’illegittimità dell’azione;
  • i controinteressati, cioè tutti quei soggetti che hanno un interesse, contrapposto a quello del ricorrente, alla sopravvivenza del provvedimento impugnato.

Il processo viene avviato dal ricorrente mediante l’atto introduttivo che è il ricorso, nel quale occorre indicare gli atti impugnati ed i presunti vizi degli stessi, nonché le ripercussioni concrete che tali atti hanno nella sfera giuridica del ricorrente.

Il ricorso viene dapprima notificato all’amministrazione e ad almeno uno dei controinteressati e quindi depositato nella cancelleria del T.A.R. competente.

Le parti intimate possono costituirsi in giudizio presentando memorie, istanze, documenti e indicando i mezzi di prova di cui intendono valersi.

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Il processo amministrativo può prevedere anche una fase cautelare, diretta ad evitare che i tempi necessari ad ottenere una decisione del giudice comportino un ulteriore pregiudizio per il cittadino leso da un atto amministrativo illegittimo.

La misura cautelare generalmente consiste nella sospensione degli effetti dell’atto impugnato nell’attesa della definizione del giudizio, ma sono possibili anche ulteriori misure “atipiche”, che il giudice valuta come maggiormente idonee nel caso concreto.

Quanto alle azioni proponibili nel processo amministrativo, sono previste:

  1. l’azione di annullamento, che costituisce l’azione tipica con la quale si chiede l’annullamento del provvedimento amministrativo ritenuto lesivo;
  2. l’azione di condanna, che potrebbe essere sia specifica che per equivalente (ad es. un risarcimento);
  3. l’azione avverso il silenzio, che viene azionata nel caso in cui la pubblica amministrazione non adotti un provvedimento espresso entro i termini di legge e non ricorrano ipotesi di silenzio-assenso o silenzio-rigetto;
  4. l’accertamento delle nullità, con cui si fanno valere i vizi di nullità dell’atto.

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In cosa consiste un atto amministrativo

Come detto, il provvedimento amministrativo è l’atto conclusivo della serie procedimentale, mediante il quale la pubblica amministrazione manifesta all’esterno la propria volontà, la propria conoscenza ed il proprio giudizio nell’esercizio della propria potestà.

Sotto un profilo prettamente formale, il provvedimento è generalmente composto da:

  • intestazione, che indica l’autorità che ha emanato l’atto;
  • preambolo, in cui sono indicate le norme ed i precedenti atti in forza dei quali il provvedimento è stato adottato;
  • motivazione, cioè le ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto la pubblica amministrazione ad adottare lo specifico provvedimento;
  • dispositivo, che è la parte a contenuto precettivo.

Caratteristiche del provvedimento sono generalmente:

  • autoritarietà o imperatività, che consiste nell’imporre unilateralmente modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari;
  • tipicità e nominatività, che si riferiscono al fatto che i provvedimenti amministrativi sono solo quelli previsti dall’ordinamento per soddisfare specifici interessi;
  • esecutività, l’astratta attitudine dell’atto ad essere eseguito.

Qualora l’atto presenti dei vizi, la legge generalmente commina conseguenze negative per l’atto stesso. Si suole distinguere tra vizi di nullità e di annullabilità dell’atto.

I vizi di nullità comportano che il provvedimento non produce alcun effetto e possono essere accertati senza limiti di tempo.

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Tra questi vi sono:

  • mancanza degli elementi essenziali del provvedimento;
  • difetto assoluto di attribuzione, cioè quando nessuna norma attribuisce alla pubblica amministrazione i poteri esercitati nel caso concreto;
  • violazione o elusione del giudicato, cioè quanto la pubblica amministrazione compie atti contrari a quanto statuito in via definitiva dalla magistratura;
  • altri casi previsti dalla legge.

I vizi di annullabilità non impediscono al provvedimento di produrre effetti, sino a quando lo stesso non venga annullato in sede giudiziale, entro ristretti termini di decadenza previsti dalla legge (30/60 giorni) ovvero a seguito di autonoma valutazione della pubblica amministrazione che li ha emanati (annullamento in autotutela).

I vizi tipici dell’annullamento sono:

  • incompetenza, che ricorre quando il potere di emanare il provvedimento spettava ad un soggetto diverso da quello che lo ha emanato;
  • violazione di legge;
  • eccesso di potere, che ricomprende una serie eterogenea di casistiche accomunate da un cattivo esercizio del potere pubblico attribuito alla pubblica amministrazione (ad es. travisamento dei fatti, illogicità, disparità di trattamento).

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