La “sede di servizio” del lavoratore, dove egli è tenuto a svolgere la propria attività lavorativa, può essere modificata durante il rapporto di lavoro.
Quando lo spostamento di sede ha carattere definitivo si parla di “trasferimento del lavoratore”.
Il trasferimento è disposto dal datore di lavoro mediante comunicazione scritta al dipendente (c.d. “lettera di trasferimento”), nella quale, oltre all’indicazione della nuova sede, dovranno essere specificate, secondo quanto previsto dall’art. 2103 del codice civile, le “comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive” che legittimano il trasferimento.
Trasferimento del lavoratore: si può contestare?
Il trasferimento disposto dal datore di lavoro è impugnabile da parte del lavoratore.
Se non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2103 c.c., si parla normalmente di annullamento del trasferimento. In particolari casi, ad esempio se la scelta del trasferimento ha natura discriminatoria o ritorsiva, si parla in modo più corretto di nullità del trasferimento.
Qualora volesse contestare la legittimità del trasferimento disposto nei suoi confronti, il lavoratore dovrà impugnare il trasferimento nei seguenti modi:
- prima, mediante impugnativa stragiudiziale, in cui il lavoratore contesta il trasferimento mediante lettera raccomandata da inoltrare entro il termine di sessanta giorni;
- poi, mediante impugnativa giudiziale, depositando di un ricorso al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, entro l’ulteriore termine di centoottanta giorni.
Trattasi di termini previsti a pena di decadenza: il mancato compimento dell’atto o il suo compimento tardivo implicano l’impossibilità per il lavoratore di contestare il trasferimento, che diventa definitivo.
Trasferimento del lavoratore: e se i trasferimenti sono “a catena”?
Può capitare che il datore di lavoro disponga, nei confronti dello stesso lavoratore, più trasferimenti successivi.
In questi casi il lavoratore è tenuto, qualora l’illegittimità dei successivi trasferimenti dipenda dal primo di essi, ad impugnare ciascun provvedimento secondo le modalità sopra indicate.
Ed infatti, come stabilito dal Tribunale del Lavoro di Catania con ordinanza del 17.04.2019, in cui l’azienda datrice di lavoro era assistita dallo Studio BC&Partners, l’illegittimità del trasferimento non può essere fatta valere come presupposto dell’impugnazione di un trasferimento successivo, se il primo trasferimento non è stato impugnato nei termini di legge.
Il superamento dei termini di decadenza previsti per l’impugnazione senza che il lavoratore abbia promosso il necessario ricorso, preclude al giudice l’esercizio della propria funzione.
I medesimi principi erano già stati espressi dalla Corte di Cassazione in tema di impugnativa del licenziamento per assenze ingiustificate conseguente a precedente trasferimento non impugnato nei termini (Cass. 16757/2015).